Essere sulla bocca di tutti

Dovremmo abituarci a considerare il successo come qualcosa di volgare e degradante, sosteneva Manganelli. Forse per certi versi era un ritorno all’antico, quello che auspicava. Mi è venuto in mente leggendo un’edizione critica dell’Obituario monzese fornitami dalla mia amica Stefanie. In questo volume, a differenza del mio, c’è un lungo saggio introduttivo che ricostruisce la mentalità medievale del borgo brianzolo. Fra i documenti dell’epoca citati si parla degli “Statuti civili monzesi” del XIV secolo, e nella Rubrica generalis de infrixaturis, che è un insieme di norme che intendevano porre un freno e una disciplina all’ostentazione del lusso della classe mercantile e di quella nobiliare, veniva fatto divieto ai miei concittadini di allora di indossare in pubblico abiti eccentrici o gioielli troppo vistosi per non “essere sulla bocca di tutti”, cosa considerata estremamente riprovevole e vergognosa. L’esatto contrario di oggi.

9 Risposte to “Essere sulla bocca di tutti”

  1. Giorgio Says:

    Essere rinomati non è bello,
    non è così che ci si leva in alto.
    Non c’è bisogno di tenere archivi,
    di trepidare per i manoscritti.

    Scopo della creazione è il restituirsi,
    non il clamore, non il gran successo.
    È vergognoso, non contando nulla,
    essere favola in bocca di tutti…

    (di Boris Leonidovič Pasternak, traduzione di A.M. Ripellino)

  2. sergio pasquandrea Says:

    Però dipende di che cosa si sta parlando.
    Se io pubblicassi un libro, il “successo” non potrebbe che farmi piacere, sia perché ci guadagnerei, sia perché ciò che ho scritto sarebbe stato letto, cioè avrei raggiunto il mio scopo (si può anche scrivere “per se stessi”, ma se si pubblica lo si fa sempre per raggiungere dei lettori, 25 o 25mila che siano).
    Se invece “successo” significa quel che significa oggi (apparire sulle riviste di gossip, farsi paparazzare, essere intervistati anche su temi di cui non si sa niente, apparire in TV a parlare del nulla), allora sono d’accordo.
    Ma in fondo credo sia un problema che è sempre esistito. Una volta erano le pellicce d’ermellino, oggi sono le comparsate dalla De Filippi.

  3. matilde Says:

    Mi viene sempre da pensare che, in teoria, il successo succede alla “cosa”, non al suo artefice…in teoria, eh!
    Per dire, sarebbe bello che all’artefice non succedesse nulla più dello stretto indispensabile per far succedere, eventualmente, altre “cose”. Ecco.
    🙂

  4. sergiogarufi Says:

    Io desidero il successo come tanti altri, anche se non sono convinto che sia un traguardo auspicabile. Oltretutto non faccio nulla per ottenerlo, come quando sogno di vincere al superenalotto senza aver mai giocato. Sono contraddittorio, forse perché mi ripugna il principio di realtà, sebbene come tutti ci debba fare i conti ogni giorno. Mi piaceva però quella cosa che ciò un tempo era una vergogna oggi è un’aspirazione.

  5. gianni biondillo Says:

    Se mi permetti io ho la senzazione che l’esempio che fai sia, invece, una conferma di come gli italiani siano gli stessi fighetti ostentatori del vacuo di sempre. Oggi come nel XIV sec. Sai quante grida contro la prostituzione ti posso fornire dei secoli passati? Cosa significa? Che una volta c’era più morale e non si andava a puttane?

  6. sergiogarufi Says:

    Non ci intenderemo mai, gianni. Io parlavo di una cosa molto diversa, il tuo paragone non c’entra. Se l’espressione “essere sulla bocca di tutti” era considerato infamante allora, ed era usato come monito contro l’ostentazione (“guarda che comportandoti così finisci per essere sulla bocca di tutti”), vuol dire che rispetto ad oggi non solo la morale, ma tutta un’assiologia si è ribaltata. I valori di discrezione che appartenevano alla classe mercantile medievale, in fondo la protoborghesia, erano ancora in uso in Brianza fino a poco tempo fa, diciamo fino agli anni 80 (il famigerato edonismo reaganiano), tant’è che sopravvivono come residuati dialettali. L’espressione “vess in cantagora” (“essere sulla bocca di tutti”) è presente ancora col suo valore di epiteto in qualche dizionario vernacolare brianzolo. Oggi invece è un traguardo ambizioso, un sogno considerato più che legittimo, quasi come i 15 minuti di cui parlava Warhol. Per tacere del fatto che è un fine che giustifica qualsiasi mezzo, perfino lo scandalo disonorevole (Kate Moss fotografata mentre sniffa coca e che si vede subito dopo triplicare i contratti pubblicitari. La Gregoracci che nelle intercettazioni di un’inchiesta si prostituiva con un politico per apparire in tv e poi le vengono offerti ruoli di conduttrice e diventa una diva ammirata. Il fotografo Corona ecc ecc) che una volta avrebbe condannato il reo alla damnatio memoriae. Io venni a vivere a Monza nel 1980 proveniendo da Milano, e mi sembrò di essere stato catapultato in un’altra dimensione. Qui tutti piangevano miseria, nascondevano i propri averi, mentre da dove venivo a casa si mangiavano i ceci pur di esibire in pubblico il macchinone. Oggi non è più così, e penso che converrebbe interrogarsi sulle ragioni di questo mutamento.
    Infine, a margine di questo tuo commento e come postilla al discorso sulle pari opportunità dell’altro mio post, vorrei farti notare come l’epiteto “fighetto” sia di un machismo e di una misoginia terribili, soprattutto perché inconsapevoli. Non a caso è lessico da antielitista.

  7. gianni biondillo Says:

    Se mi permetti la consapevolezza che “fighetto” sia misogino e machista io ce l’ho eccome!
    😉

  8. gianni biondillo Says:

    … e la “buona borghesia” continua ad aborrire l’ostentazione e non si identifica con Briatore. La stessa che criticava gli arricchiti ingioiellati (i Briatore) di 500 anni fa. L’unica differenza è che oggi gli arricchiti sono numericamente di più.
    😉

  9. franz krauspenhaar Says:

    Quando mi arricchirò, e succederà, lo sapranno solo alle Maldive.

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