Eccolo, il muro della passione, come a Gerusalemme c’è quello del pianto. Sta a Verona, sotto il balconcino di Giulietta. E’ pieno di biglietti, proprio come a Gerusalemme. Cartoline per Dio, il Deus absconditus dell’amore. E pensare che alcuni li definiscono vandali, affermando che deturpano il falso storico del palazzetto dei Capuleti. Quando ci si arriva, in quella sorta di tunnel buio che introduce al cortile, sembra di entrare nella caverna di Platone, e ogni post-it è l’ombra di un desiderio e di una promessa di senso, la speranza che sia finalmente giunto il nostro momento, come canta Etta James in At last. A leggerli singolarmente, quei frammenti irrelati acquistano una loro unità, si rivelano tessere di un grande mosaico impersonale, perché l’amore è platonico per definizione. E’ la grafia minuta che li individua, non il contenuto, composto soprattutto da frasi fatte e automatismi sentimentali. C’è una scena, nel film La messa è finita, in cui la sorella del prete legge la lettera del padre in cui questi cerca di spiegare le ragioni per le quali si è innamorato di un’altra lasciando la moglie. Nanni Moretti, infastidito, per non ascoltare alza il volume della radio che sta trasmettendo una melensa canzonetta d’amore, e così il labiale della sorella sembra esprimersi mediante quei versi dozzinali, finisce per coincidere con le eterne, fruste e sofferte parole della passione, che è anzitutto un patire. Poco prima di andarmene, noto che uno di quei precari post-it si stacca dalla parete e cade per terra, sul pavimento bagnato dalla pioggia e calpestato dai turisti indifferenti. E’ giusto così. Come nella cerimonia giapponese della contemplazione dei ciliegi in fiore, queste dichiarazioni hanno un carattere elegiaco, sbocciano e appassiscono rapidamente, perché la bellezza più emozionante è quella più evanescente, e ciò che conta è la partecipazione al rito collettivo, non il destino del singolo fiore.
Tag: Etta James, Nanni Moretti, Platone
gennaio 9, 2010 alle 9:20 pm |
Molto bello questo post. Ha cambiato la mia opinione su questo muro.
gennaio 10, 2010 alle 6:26 pm |
Che sguardo, che hai. Bentornato.
gennaio 10, 2010 alle 10:32 pm |
bello davvero. Soprattutto qui: “e ciò che conta è la partecipazione al rito collettivo, non il destino del singolo fiore.” Questa frase vale per altre mille situazioni in cui ci invischiamo.
gennaio 11, 2010 alle 10:11 am |
…e speculare a questo mi pare la pretesa di eternità, la grave meccanica freddezza dei lucchetti incatenati di mocciana-veltroniana memoria:
(copio-incollo da repubblica del 13 aprile 2007)
Schiacciato da troppi lucchetti dell’amore
crolla il romantico lampione di Ponte Milvio
Roma, cade la struttura che ospita i piccoli catenacci resi celebri dai bestseller di Moccia
Qualche giorno fa era stato lanciato l’allarme a causa dell’eccessivo peso
Il sindaco Veltroni ha disposto che vengano custoditi in Campidoglio: “Sono un simbolo della città e dell’amore”
gennaio 11, 2010 alle 3:20 pm |
non avrai mica copiato da walter
gennaio 11, 2010 alle 3:59 pm |
grazie molte a elena, luigi ed enrico. concordo con dario, le differenze coi lucchetti sono molte, fra cui anche la dimensione più provinciale di questi ultimi.
@francesca
valter chi, veltroni?
gennaio 11, 2010 alle 4:40 pm |
Dall’album “The Juliet Letters”, di Elvis Costello, con il Brodsky Quartet: “Taking My Life In Your Hands”. I testi delle canzoni di questo album sono ricavati da biglietti e lettere lasciati su questo muro, o spediti a Verona da ogni angolo del mondo.
gennaio 11, 2010 alle 7:31 pm |
Leggendo questo pezzo mi è venuto subito in mente il rito dei mandala dei monaci tibetani. Credo che nell’affidare un messaggio amoroso alla fragilità di un post-it si è anche consapevoli della finitezza di entrambi. Se fosse altrimenti non si confiderebbe semplicemente sulla tenuta di una colla o di un inchiostro, magari lo si incornicerebbe, si metterebbe sotto vetro, se si potesse. E invece no. Ciò che è è, ma nulla rimane, che è anche il senso della cerimonia della fioritura dei ciliegi. Racchiudere l’eternità nell’attimo ha la sua indiscutibile e affascinante bellezza, ed è senza dubbio più alla nostra portata, se poi si riconosce la propria evanescenza in quella altrui il tutto diventa anche consolatorio, e voltare le spalle al muro, allontanarsene diventa incarnazione del destino.
ciao
lisa
gennaio 11, 2010 alle 10:28 pm |
sì. mi pareva in altra occasione di averti sentito parlare in modo benevolo del rito collettivo del lucchetto a ponte milvio messo dagli innamorati.
gennaio 12, 2010 alle 11:37 am |
sonetto 18
Dovrei paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei più amabile e più temperato.
Venti furiosi scuotono i cari bocci di Maggio
E il corso dell’estate troppo presto è consumato
Troppo caldo splende talvolta l’occhio del cielo
E il suo aspetto d’oro sovente si oscura
E il bello dal bello talvolta declina,
Per caso o per il mutevole corso della natura;
Ma la tua eterna estate non svanirà
Né la bellezza che possiedi perderai;
Che vaghi nella sua ombra Morte non si vanterà,
Quando questi versi eterni contro il tempo porrai
Finché uomo respirerà od occhi vedrà
Finché questi versi vivranno e vita ti daranno.
gennaio 14, 2010 alle 7:41 pm |
per amore di completezza. qs post è molto bello. il modo lieve con il quale entri tra le pieghe di gesti d’amore banali e ripetuti, l’esattezza del paragone sull’infiorescenza caduca di post-it e fiori di ciliegio eccetera non imprestano molto dal maldestro trasloco istituzionale dei lucchetti pericolanti in campidoglio.