Una settimana fa mi rubarono la moto. Era una Honda Revere 650 color antracite. A mezzanotte scesi a portare il cane e c’era, alle otto di mattina del giorno successivo ripassai sempre col cane e non c’era più. Sul momento ci rimasi di merda. Da buon fatalista non mi venne subito in mente la sequela di insulti alla Alex Drastico, il personaggio di Antonio Albanese che malediva il ladro del suo motorino augurandogli le peggio cose; però mi vennero in mente tutti i ricordi legati a quella moto. Il fatto per esempio che mi somigliasse: vecchietta e con gli acciacchi ma ancora in pista, e dimostrando meno della sua età. E che fosse l’ultima testimone della mia vita precedente, infatti l’avevo comprata nell’aprile del 1989, prima della morte di mio padre, della truffa e di tutto il resto; quando gli affari andavano alla grande e tutto ciò che sarebbe successo in seguito non era neppure concepibile.
Era talmente vecchia che non aveva nemmeno l’assicurazione per il furto. Una moto di 23 anni sul mercato è considerata un ferro vecchio di nessun valore. Troppo giovane per essere d’epoca, troppo datata nel paragone con le altre. In più stava parcheggiata a fianco di due bolidi nuovi fiammanti, quindi mai mi sarei aspettato che la rubassero proprio lì. Per questo, oltre a non averla assicurata contro il furto, non l’avevo neanche legata.
Mentre aspettavo in commissariato il mio turno per denunciarne il furto, pensavo al dolore per quella perdita e ai tanti ricordi di quei 23 anni insieme: le gite al lago, i viaggi fino a Lipari, l’epica tirata notturna da Barcellona a Milano, partendo alle 9 di sera e arrivando alle 9 di mattina, guidando con la visiera scura del casco, quella da sole, che mi permetteva di vedere gli stop delle auto davanti solo a pochi metri di distanza. 95.000 km segnava il contachilometri. Pensai pure che se avessi avuto i soldi per prenderne una nuova, più bella e scattante, non l’avrei fatto, ci ero troppo affezionato.
Due giorni dopo, cioè mercoledì sera, tornavo a casa col cane e ho incrociato uno dei possessori delle moto nuove che solitamente erano parcheggiate a fianco alla mia. Appena è sceso e si è tolto il casco mi ha domandato: “perché ora parcheggi la moto là?”, indicando un punto della via che incrocia quella di casa mia. Ho chiesto lumi e lui mi ha confermato di averla vista poco distante, messa male, e mi ci ha accompagnato. La mia moto era lì, a 50 mt da dove era stata prelevata, ed era apparentemente in buono stato. Sono corso a casa a prendere le chiavi ma mi sono accorto che non c’erano. Insomma, me l’avevano rubata con le chiavi inserite, il furto più facile del mondo, e poi l’avevano abbandonata lì perché era un catorcio.
Non essendo inserito il bloccasterzo l’ho spinta verso casa e il giorno dopo l’ho portata dal meccanico a far fare le chiavi nuove. Poi sono andato a ritirare la denuncia e infine ieri ho ritirato la moto rimessa a posto. Mentre la pulivo giuravo a me stesso che d’ora in avanti l’avrei sempre chiusa con la catena. Quando ci ho fatto un giretto mi son reso conto che forse avevo esagerato. In fondo non era un granché, solo un ferro vecchio che non meritava tutta quella nostalgia. Se avessi avuto i soldi l’avrei cambiata eccome. E’ che il sapore della mancanza è sempre più intenso di quello della conquista. Quella è una contabilità perennemente in rosso. Come diceva Agassi in Open: “una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta”.