Per molti l’invidia rappresenta il motore immobile, il volano del divenire dell’universo, la causa senza causa, perché prima di essa non esisteva neppure l’universo. Yahweh stesso, secondo Lacan, forse non ne sarebbe immune, basta vedere quel che combinò all’incolpevole Giobbe. Il patriarca idumeo infatti era ricco, felice, pieno di fede, con una bella famiglia, e pagò caro tutto questo ben di Dio. L’invidia è il peccato originale, nel senso di qualcosa che corrompe ab origine ogni giudizio, rendendolo sospetto di malafede. A me non piace proprio per questo motivo: è un modo per zittire l’interlocutore e insieme un’ipotesi infalsificabile, quindi inservibile alla costruzione di un discorso sensato. Non che l’invidia non esista, o che non generi risentimento e frustrazione in molti, ma se qualsiasi disputa che ricorra a questi mezzucci finisce immancabilmente in insulti reciproci, allora credo che varrebbe la pena escluderla a priori, o tenersela per sé. D’altronde, non si può veder riconosciuta la propria buona fede più di quanto si sia disposti a riconoscerla agli altri. Chi si raffigura un mondo paranoico popolato da vermi livorosi poi dovrà abitare in ‘ste lande schifose, dovrà convivere con questi esseri ripugnanti, non ce n’è. E se chi critica lo fa sempre e solo per invidia, allora chi elogia è un adulatore interessato. Ad ogni modo di recente noto un salto di qualità tale da far capitolare perfino la logica. E’ successo che l’accusa d’invidia si è talmente diffusa da stimolare l’autocensura. Per esempio io in pubblico – sia questo un blog, un social network o il ristorante con gli amici – preferisco glissare, piuttosto che criticare qualcuno che ha goduto di una notorietà a me preclusa, onde evitare sospetti di sorta. Pensavo però di poter esercitare tranquillamente il mio diritto di critica se si trattava di una situazione a me estranea. Puta caso che esca un’antologia dell’ottocento mitteleuropeo, o di scrittori under 25, o di poetesse, in cui il curatore elenca i nomi di quelli che considera i migliori del genere, io credevo che in questi frangenti non mi si potesse liquidare così; infatti non ho il cappello a cilindro e i baffi a manubrio, fra poco compio cinquant’anni e sono un maschio abituale e recidivo. Eppure no, gli interessati, curatori o antologizzati, risponderanno comunque che “è degli esclusi il rodersi”. Bah.
Maggio 23, 2012 alle 11:35 am |
L’ego, il desiderio manovrano le nostre esistenze, a tal punto da rendere perfino l’amore, una sorta di compensazione.
Credo di capire quello che scrivi, di comprendere il finale. Credo che forse anche altri siano in grado di raccontare gli anni zero, e che c’è sempre qualcuno che sceglie, e che facendolo, contemporaneamente scelga ed escluda.
Mi chiedo quanto, nel senso di misura, farsi i cazzi propri, ci metta al riparo dal sentire che noi stessi, a volte, proviamo sentimenti che non ci piacciono.
Notavo che 5 su 10 hanno il cognome che inizia con la P… E farsi chiamare S Pgarufi, no?
Maggio 23, 2012 alle 1:03 PM |
Mettila così: potresti entrare nell’antologia sugli anni Dieci, che con uno minimo di sforzo saranno migliori degli anni Zero 😉
Maggio 23, 2012 alle 2:01 PM |
Dal canto mio, dopo anni di auto-limitazione, ho deciso di dire quel che penso fregandomene del resto. Anche attaccando direttamente le persone: benché in questi casi sia facile attribuirlo all’invidia livorosa, in realtà lo faccio per il loro bene, ovvero per aiutarle a migliorare.
giugno 13, 2012 alle 10:58 am |
e pensi che c’è una sola donna…