Lo scorso Natale l’ho passato in un antico casolare dell’Umbria di proprietà di parenti della mia compagna. Formavamo una bella comitiva di una ventina di persone, tutte di sinistra, atee, colte e cosmopolite; sembrava un film di Bertolucci. La figlia del proprietario del casolare, cioè la cugina della mia compagna, vive e lavora a Londra da diversi anni e ha due figli piccoli che quasi non parlano italiano. Economicamente sta bene e ha mandato i figli in una scuola molto selettiva e internazionale, con delle rette carissime. Ci diceva che lì non ci si augura “Buon Natale”, perché sarebbe giudicato scortese da chi non è cristiano. Così, per ovviare alla cosa, in quei giorni di dicembre tutti si augurano “Buona festa d’inverno”. Dopo siamo andati fuori a fumare. Piovigginava e la cugina londinese ci ha invitato a disporci in fila indiana sotto la grondaia per non bagnarci. Allora l’ho corretta, e ho detto: “eh no, si dice fila dei nativi americani”.
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