Archive for marzo 2013
Quelli che gli manca Jannacci
marzo 30, 2013I non uomini
marzo 29, 2013“Per i soli papà, Giorgio vorrebbe brindare degnamente alla sua laurea. Vi convocherò dunque presto per una drinking session. Astenersi perditempo, astemi e salutisti vari (insomma, i non uomini).”
Questo è un sms che è stato spedito di recente a un mio amico. Liquidarlo come l’opera di un cretino sarebbe troppo comodo, soprattutto perché a ragionare in questo modo, pensando di essere simpatici, sono tantissimi, non pochi casi isolati. Negli anni, la mia condizione di astemio mi ha attirato centinaia di sfottò e pure diversi insulti; tanto che potrei stenderne un elenco divertente e istruttivo. I più gentili, quando se ne accorgono ti chiedono se professi una religione contraria agli alcolici, oppure se hai dei problemi fisici che te lo impediscono. La semplice verità che qualcuno non beva alcool perché non gli piace non è contemplata. Io non ne vado particolarmente fiero. Ci sono nato così, forse mi manca il gene apposito, dato che nessuno della mia famiglia beve se non occasionalmente per un brindisi. So che ne guadagno in salute, ma ogni tanto ho desiderato di essere un po’ meno vigile a me stesso e un po’ più simile agli altri. Perdere qualche freno inibitorio, soprattutto da pischello, magari per trovare il coraggio di farsi avanti con una che mi piaceva, non mi sarebbe dispiaciuto per niente. Oppure alla prima uscita con una donna, quando si va al ristorante per una cenetta a lume di candela, e io so da subito che al momento delle ordinazioni il mio non bere vino, o farla bere da sola, suonerà come un’unghiata sulla lavagna e sarà un pessimo incipit per quel rapporto. Ciò che non finisce di sorprendermi è quanto tenace e resistente sia questo pregiudizio machista sul fatto che gli uomini veri bevono alcolici. Neppure la moda del politically correct, che tutela tutte le minoranze, è riuscita a estirparlo o attenuarlo. Per non parlare poi delle evidenze medico-scientifiche. Perché se c’è una cosa certa a questo mondo, a proposito di uomini veri versus non uomini, è che il bere alcool rende molto più difficile l’erezione.
l’arte omeopatica
marzo 28, 2013una scultura orrenda per denunciare un crimine orrendo
Differenze
marzo 26, 2013Ieri da Iacona parlavano della Casa di Peter Pan di Roma, una onlus che accoglie e ospita bambini malati di tumore assieme ai loro genitori, soprattutto quelli residenti fuori dalla capitale, e che ci vengono per seguire le cure negli ospedali romani. E’ gestita con grande passione da un gruppo di volontari e non prende un euro di finanziamento pubblico. Sta in affitto in uno stabile di proprietà della Regione Lazio. La giunta Polverini, poco prima di dimettersi, gli ha aumentato il canone da 6.000 a 35.000 euro. Avevano deciso di chiudere. Già lavoravano gratis e si autotassavano per pagare bollette ed affitto, ma a quelle cifra non potevano arrivare. Zingaretti, nella sua prima uscita ufficiale, è andato a visitarla e ha assicurato che concederà presto il comodato d’uso gratuito. La proprietà così resterà alla Regione ma non dovranno più pagare l’affitto. Quando dicono che destra o sinistra è uguale, non credeteci.
La simpatia
marzo 20, 2013Per una curiosa coincidenza, pochi giorni dopo aver scritto questo mi è capitato di uscire a cena con Francesco De Gregori. Avevo ricevuto l’invito da un amico comune che conduceva alla radio insieme a De Gregori un programma sul cinema, e così sono andato con la mia fidanzata al ristorante da Nello in via Montesanto 19 a Roma, nel quartiere Prati. Arrivati in anticipo abbiamo visto una tavolata da sedici posti tutti vuoti, e ci siamo accomodati nel fondo, pensando che gli saremmo stati lontani, dovendosi lui porre al centro. Subito dopo di noi è arrivato lui con la sua donna, ci ha salutato e si è seduto a fianco a me. Io ero rosso in volto e parlavo a monosillabi, lui invece era molto cordiale e in vena di battute. Poi sono arrivati gli altri e abbiamo cominciato a mangiare. Si discuteva di film e, diversamente da quanto potessi immaginare, De Gregori esibiva un gusto molto camp, in sintonia con gli altri del gruppo. Diceva di aver apprezzato il film con Checco Zalone, e io gli ho chiesto se avesse visto l’imitazione di Vendola fatta dal comico pugliese, al che lui ha detto di averla trovata irresistibile. Poi gli ho riferito un commento di Cortazar sui film di Antonioni che lo facevano dormire, letto nell’epistolario dell’argentino, e che ricalcava la celebre sentenza del personaggio interpretato da Gassman ne Il Sorpasso, quando diceva che Antonioni gli aveva fatto fare una bella pennichella; al che è intervenuto Marino Sinibaldi, che ha raccontato di aver letto con gusto I cosmonauti dell’autostrada. Insomma c’era un’atmosfera informale, e De Gregori sembrava a suo agio. Si prendeva in giro, raccontava che al cinema lui era uno spettatore maniacale, di quelli che sentono scartare una caramella a metri di distanza, e che da quel momento aguzza l’udito finché non ne sente scartare un’altra. Tra un piatto e l’altro usciva a fumare una sigaretta e molti di noi lo seguivano. Alcuni si complimentavano per le sue canzoni, e io pensavo a Guarda che non sono io, dove sembrava non gradire quel tipo di apprezzamenti. Così a un certo punto gli ho chiesto se conosceva il racconto “Io e Borges”, come pretesto per parlargli della sua canzone. Lui ha risposto seccato di no, come se gli avessi evidenziato una lacuna culturale. Ho spiegato che quel racconto parlava dello stesso tema di Guarda che non sono io, e lui ha risposto che era consapevole di non aver inventato niente. Il tono era infastidito, e si è quasi girato dandomi le spalle. Ho farfugliato qualcosa sul fatto che lui aveva sviluppato quel tema in modo molto originale, ma ormai De Gregori mi ascoltava appena, e da quel momento in pratica non ho più avuto modo di parlarci.
La simpatia non è mai stata il mio forte. Perlomeno non la simpatia immediata, quella che si ispira a chi hai appena conosciuto. Nonostante mi sforzi, o forse proprio perché mi sforzo, il risultato è sempre stato deludente. Posso essere simpatico a chi mi conosce bene, ma di primo acchito non lo sono quasi mai a nessuno. Rincasando in auto con la fidanzata ero un po’ triste, ci tenevo a fargli una buona impressione, De Gregori era un mio mito sin da ragazzo e molti suoi pezzi li considero dei capolavori. Riferendole l’episodio lei mi ha detto che avevo sbagliato approccio, che non avrei dovuto interpellarlo in un modo così aggressivo (“Conosci il racconto Io e Borges?“), e penso che abbia ragione. So che tutto questo mi penalizza. Oggi la simpatia è una qualità professionale, cioè aiuta molto anche sul lavoro, al di là delle competenze professionali. Ci sono folgoranti carriere costruite solo su quello. Penso a Benedetta Parodi, che sa cucinare a malapena; a Beppe Severgnini, che scrive al massimo delle cose di buon senso; o a Fiorello, che non sa fare nulla di speciale ma è di una simpatia travolgente. Perché le occasioni di lavoro nascono anche così, da una simpatia umana grazie alla quale ti viene concessa un’opportunità. Se è vero, ha commentato la mia donna, allora sei spacciato.
la festa del papà
marzo 19, 2013Il 19 marzo non sarà mai la mia festa. Lo pensavo stamattina, quando, come ogni martedì, l’ex marito della mia compagna è passato a prendere suo figlio per portarlo a scuola, e il piccolo gli ha dato un disegno con gli auguri per la festa del papà. Questo bambino passa molto tempo con me, più che con qualsiasi altro adulto. Lo porto a scuola quattro mattine su cinque, poi vado a riprenderlo tutti i pomeriggi e lo accompagno a musica e a rugby un paio di volte a settimana. Insieme ceniamo quasi tutte le sere, dopo il bagno gli asciugo i capelli, a volte lo porto in braccio a letto se si è addormentato davanti alla tv, ma non sarò mai suo padre, a me non darà mai un disegno come quello di stamattina. Essendo stato adottato dalla mia compagna quando aveva due anni e mezzo, io nei suoi confronti posso esercitare soltanto una paternità doppiamente vicaria, dopo quella del padre biologico e del padre adottivo.
Quando penso alla catena delle generazioni mi spaventa l’idea di essere l’ultimo anello, che dopo di me non ce ne sarà un altro. Se potessimo vedere come in una sequenza fotografica i volti di tutti i nostri antenati, dalla prima scimmia a nostro padre, sfilerebbe una galleria infinita di ritratti inquietanti perché estranei e al contempo familiari. Ognuno di noi è il prodotto di un numero incalcolabile di accoppiamenti. I nostri antenati si sono sempre riprodotti, spesso vivendo in condizioni terribili, con una grotta per casa, dovendosi procacciare il cibo tra carestie, pestilenze e guerre; ed io invece, che ho goduto delle condizioni più favorevoli per farlo, non lascio discendenti, spezzo questa lunghissima catena. Sono lo stadio terminale di un infinito processo evolutivo, l’ultimo in senso cronologico ma pure l’ultimo perché dopo di me non ci sarà più nessuno. Last and least.
Il più bello dei paesi
marzo 7, 2013Non sapevo che Nazim Hikmet avesse questa faccia. L’ho scoperto poco fa, guardando una sua biografia nella vetrina di una libreria di Istanbul. Mostrandola alla mia compagna, suo figlio di dieci anni si è incuriosito e mi ha chiesto chi fosse. Gli ho risposto che era un poeta, l’autore di alcuni versi notissimi che gli ho recitato. E mentre li dicevo (“Il più bello dei mari/ è quello che non navigammo./Il più bello dei nostri figli/ non è ancora cresciuto./ I più belli dei nostri giorni/ non li abbiamo ancora vissuti./E quello che vorrei dirti di più bello/ non te l’ho ancora detto.“) non mi sembravano più svuotati di senso per la loro fama, buoni solo per i baci Perugina; anzi, grazie a loro mi è parso di capire finalmente questa città e questo grande paese.
E’ la terza volta che visito Istanbul. La prima fu nel ’76, con la mia famiglia, e ne ho pochi ricordi opachi, come qualcosa di bello e sporco. La seconda nel 2008, vedendo solo i posti canonici (Santa Sofia, la Moschea blu, la cisterna, l’ippodromo, Topkapi, la torre di Galata), assieme a una fidanzata che si lavava i denti con l’acqua minerale perché pensava di stare nel terzo mondo. E infine ora, con la famiglia che mi son fatto, girando fra tappetari e spezie e traghetti e lavori in corso e gabbiani e tassisti ladri e pasciuti gatti randagi nei cimiterini delle moschee. Siamo anche entrati in un centro commerciale che si vanta di essere il più grande d’Europa e si chiama Cevahir, uno di quei posti dove i turisti colti non vanno mai. L’impressione è stata quella di un’economia dinamica, in piena espansione, dove c’è ancora molto da fare. Una società in fermento piena di contraddizioni e opportunità, in cui l’esercito è il garante della laicità e tra i canti dei muezzin circolano Porsche e mendicanti, burqa e minigonne, ma soprattutto una popolazione giovane che crede nel futuro; che è quello che a noi manca e che conta più del PIL. La poesia di Hikmet, pur essendo del 1942, per me simboleggia meravigliosamente anche questa fiducia nel domani.