Quando facevo l’arredatore, una delle frasi più ricorrenti che mi sentivo rivolgere dalle clienti intenzionate ad arredare una casa era “voglio poche cose ma belle“. Parlavano ovviamente di case vuote, magari appena comprate. Questa frase la dicevano in tante, era un classico. E soprattutto la dicevano con un tono distinto, come se fosse qualcosa di speciale, che non tutti condividono. Ecco, io penso che un piccolo consiglio di scrittura possa partire da questa considerazione. Il linguaggio è pieno di frasi fatte e prive di significato. Sono le prime che ci vengono in mente per descrivere una situazione, e quindi sono le più subdole, perché si presentano come automatismi ma con un fascino particolare, appunto come se stessimo dicendo qualcosa di originale, che ci connota in positivo. Per riconoscerle basta fare un esercizio elementare d’immaginazione, di collaudo sulla loro tenuta, e cioè ribaltarle, verificare se il contrario ha senso. In questo caso il contrario di “voglio poche cose ma belle” è “la voglio stracolma di minchiate“, una frase inconcepibile. Eppure quando visitavo gli appartamenti dove mi si richiedeva un intervento parziale, magari cambiare solo le tende o un divano, trovavo invariabilmente delle case ingombre di cianfrusaglie. Questo per dire che le petizioni di principio sono come il collutorio, ti fanno sentire più pulito ma non sono altro che sputacchi, non metabolizzi niente, fai un gargarismo e finisce lì. Tutti a parole vogliono poche cose ma belle, eppure molti fanno il contrario. Per quanto riguarda la scrittura, la necessità di quel collaudo (nel caso la frase fatta provenga da un narratore onnisciente, certo non dalla cliente di un arredatore) serve soprattutto all’economia espressiva della narrazione. Il lettore viaggia per conto proprio. Possiamo indicargli le strade possibili, ma se sta guidando in una via con la svolta a destra obbligatoria, è inutile suggerirgli di mettere le freccia.
Archive for giugno 2013
Poche cose ma belle
giugno 22, 2013Come si parla di figa
giugno 21, 2013“Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa: diciamolo chiaro, se la cultura, se il pensare non è vitale, se non impegna proprio le viscere (e non metaforicamente, perché il pensare è cosa totale come il morire, è un “fatto”, è un vero e tangibile oggetto), se non ha anche addosso qualcosa di sporco, di fastidioso, di disgustoso, come è di tutto ciò che appartiene ai visceri, se non è tutto questo, non è che vizio, o malattia, o addobbo: cose di cui è bene o anche necessario ed onesto, liberarsi (spogliarsi) totalmente”.
(Giorgio Manganelli, appunto del 25/10/52, tratto dai Quaderni 10/3/51 – 2/11/52 conservati a Pavia nello sterminato Fondo Manoscritti di Autori Moderni e Contemporanei, un fondo senza fondo).
Bolaño catalano
giugno 11, 2013Il Movimento letterario 5 stelle
giugno 6, 2013Oggi al supermarket ho visto questo libro e mi ha colpito la fascetta (“se è un caso letterario ci sarà un perché”). Ho pensato che il bipolarismo regna anche nella Repubblica delle Lettere, e che pure lì si finge di essere alternativi ma si pratica il consociativismo, perché oramai governano insieme i fan di Topolò (meno siamo meglio stiamo) e quelli di Mantova (la classifica docet), entrambi ossessionati dai numeri di vendita. Ma se non mi riconosco in questi schieramenti cosa sono, un grillino? E’ per questo che appena uscito dal supermarket ho controllato lo scontrino?