Archive for giugno 2015

le lettere di Julio

giugno 30, 2015

garufi cortazar

Vip, nessuno e centomila post: la mistica della bêtise

giugno 12, 2015

eco

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Questo ha dichiarato Umberto Eco, ricevendo la laurea honoris causa in Comunicazione dall’Università di Torino. Ovviamente molti, sia su facebook che su twitter, sentendosi chiamati in causa hanno replicato con toni risentiti, sebbene Eco non fosse nuovo a uscite del genere. Tempo addietro infatti aveva detto che “il bello dell’anarchia di internet è che chiunque ha diritto di manifestare la propria irrilevanza”, mentre prima ancora su diverse Bustine di Minerva aveva denunciato gli svarioni dilettanteschi di Wikipedia e la proliferazione delle bufale in rete. Liquidare il tutto come fosse uno sfogo dell’età o un rigurgito di luddismo verso un mondo che non comprende più sarebbe sbagliato. La sua presa di posizione e le polemiche che ha suscitato non sono il frutto di uno conflitto generazionale o la riedizione di apocalittici e integrati, ma l’ultima frontiera della lotta di classe. Una lotta di classe sui generis, con nuovi attori e nuove armi, in cui non si fronteggiano classi sociali separate dal censo, dai natali illustri o dal grado d’istruzione, bensì due categorie umane all’apparenza diversissime: quella dei personaggi famosi e quella dei comuni mortali. I primi sarebbero gli unici aventi diritto di parola, inteso come diritto di parlare a un vasto uditorio, mentre i secondi dovrebbero limitarsi ad ascoltare. Ma l’erosione del principio di autorità è cominciata ben prima dell’avvento della rete. Fu in televisione che apparvero i primi tuttologi con un linguaggio da bar come Luca Giurato, perché era la simpatia l’unica qualità indispensabile, e se c’era quella il resto non serviva. Ma quel tipo di rapporto col pubblico non rimase confinato nel piccolo schermo. Oggi al corsivista del quotidiano non si chiede di essere scomodo o di provocare, ma d’incarnare la vox populi; basta leggere i pezzi di Francesco Piccolo. La figura dell’intellettuale come coscienza critica del Paese è sparita ed è inutile lamentarsi troppo, perché l’intellettuale somiglia al coniuge ricco, che non è mai così benaccetto come quando se ne può denunciare la scomparsa. È la sua funzione precipua, il mancare. Se la “rilevanza” sociale è questa, e si misura sul pubblico a disposizione, allora i social network che Eco tanto deplora si basano sulla medesima gerarchia, come dimostrano le classifiche dei vip con più followers su twitter. Il problema è che ora i Pinco Pallini non parlano più a una decina di avventori del bar, ma possono rivolgersi anche a un migliaio di contatti, e quel che è davvero intollerabile possono sfruttare parassitariamente l’uditorio del vip, commentando un suo articolo sulla versione on line del giornale o replicando a un suo tweet. In questo scontro, conviene rammentare che i vip e i nessuno sono categorie relazionali. Ciascuna detiene il senso dell’altra e insieme vivono un rapporto osmotico, in cui entrambi hanno bisogno degli altri per esistere sebbene ne diffidino fortemente, come fossero uniti dalla reciproca avversione e dal mutuo sospetto (il vip teme sempre che l’adulazione sia interessata, ma senza fan non sarebbe tale). A riprova di ciò ricordo che una domenica pomeriggio, di ritorno da una passeggiata in centro, in piazzale Flaminio a Roma sentii un uomo che parlava a voce alta al cellulare. Mi voltai per vedere chi fosse ma questi portava gli occhiali scuri e un cappello da baseball schiacciato sulla fronte, come a volersi nascondere, però il timbro baritonale e quello che diceva (l’organizzazione di uno spettacolo teatrale che stava per andare in onda in televisione) lo tradivano senza esitazioni. Era l’attore Enrico Brignano, che temeva e al contempo sperava di essere riconosciuto. In questo gioco delle parti l’imbecillità non è il lato oscuro della fama, il prezzo della notorietà, ma la sua essenza, e la frequentazione dei social network lo ha reso ormai evidente. Un fondo di stupidità bestiale riguarda in egual misura chi gode di quel privilegio e chi vi aspira, ecco perché la bêtise è la forza motrice della storia e del progresso, tanto che “tutti i grandi uomini sono bêtes”, come sapevano bene quei grand’uomini di Flaubert e Baudelaire. Umberto Eco in questo senso non fa eccezione, lui appartiene totalmente al nostro tempo, non foss’altro per la costante preoccupazione di distanziarsene. I saggi del primo e secondo Diario minimo dopo tanti anni restano ancora attuali perché dimostrano che tutto può nutrire la curiosità e offrire pretesto per soddisfarla: il memorabile e l’insignificante, il sublime e la paccottiglia, il paradosso arguto e la tautologia spicciola, e solo facendoci i conti si può sperare di capirci qualcosa.

La stanza dei joystick

giugno 1, 2015

renzi-playstationQuesta foto suggella un fallimento, il fallimento di quelli che oggi hanno circa 50 anni. Quando pubblicai il mio primo romanzo ne avevo 48 ed era il 2011. Il governo lo presiedeva Berlusconi, i potenti che conoscevo erano suoi coetanei. Fui invitato a una trasmissione televisiva sulla lingua italiana, e mi presentarono come “un giovane scrittore”. Era un finto complimento, un complimento consolatorio. Il giovane voleva tranquillizzare, come a dire: aspetta, non aver fretta, è ancora presto ma verrà il tuo momento. Non era vero. Dopo i settanta-ottantenni sono arrivati al potere i trenta-quarantenni, una generazione intera, la mia, è stata saltata. Ora comandano questi qui, che nella stanza dei bottoni hanno messo i joystick della playstation, una roba che associo al figlio dodicenne della mia compagna. Vederli con in mano quell’aggeggio e lo sguardo calamitato dallo schermo me li fa sentire estranei quanto una foto con Mario Monti e la Fornero che giocano a burraco.