Presente il test del marshmallow? Quell’esperimento di psicologia comportamentale in cui si dava un marshmallow a dei bambini di 4 anni chiedendogli di non mangiarlo per un quarto d’ora e promettendogli in cambio un secondo marshmallow? Intendeva misurare la nostra capacità di autocontrollo, quanto siamo capaci di resistere alle tentazioni, e pare che sia un preciso indicatore di che tipo di adulti saranno quei bambini, perché i più resistenti avranno voti migliori a scuola, un quoziente intellettivo superiore e guadagneranno di più nel loro lavoro rispetto agli altri, ai cedevoli. La determinazione è fondamentale, la goccia d’acqua scava la roccia non per la forza ma per la costanza. Eppure, forse perché so con certezza che avrei scelto di mangiarlo subito il dolcetto, se penso alle tentazioni mi vengono in mente gli aforismi di Oscar Wilde, e mi sento meno sfigato.
Archive for giugno 2017
il test del marshmallow
giugno 22, 2017crimini e discrimini
giugno 21, 2017Quando facevo parte della redazione di Nazione Indiana, il blog letterario composto da una ventina di scrittori e intellettuali (Tiziano Scarpa, Roberto Saviano, Gianni Biondillo, Giorgio Vasta, Christian Raimo, Antonio Moresco, Andrea Bajani, Andrea Inglese, Andrea Raos, Franz Krauspenhaar, Helena Janeczek, Maria Luisa Venuta, Marco Rovelli, Giulio Mozzi, Piersandro Pallavicini, Carla Benedetti, Antonio Sparzani, Benedetta Centovalli, Piero Vereni), un giorno mi fu chiesto di sottoscrivere un appello contro la discriminazione degli zingari. L’idea venne ad alcuni redattori come forma di denuncia per l’acquiescienza dell’opinione pubblica rispetto ai casi sempre più frequenti di intolleranza verso la comunità rom.
L’appello ebbe una discreta risonanza sui media, lo riportarono tv locali e parecchi giornali, ma il fatto che fosse concepito con una struttura gerarchica, che prevedeva al vertice un gruppo ristretto di “proponenti”, poi una parte più consistente di “primi firmatari” e in fondo la massa indistinta degli “aderenti”, i quali si mischiavano addirittura coi cittadini comuni, mi spinse a non aderire.
Notai però che l’appello provocò nella mailing list interna della rivista vibrate proteste e polemiche molto accese riguardo al posizionamento dei vari redattori, soprattutto da parte dei sotto-scrittori confinati nell’ultima categoria, i quali evidentemente si sentivano ghettizzati e aspiravano ad essere promossi in pole position.
farsi i film
giugno 20, 2017Il personaggio letterario in cui mi riconosco di più è il protagonista della XXV centuria di Manganelli, lo scapolo che crede di aver ucciso sua moglie, poi si ricorda che è scapolo, allora si chiede perché non ha una moglie. ce l’hanno tutti, chi è lui, un cane rognoso? perché sua moglie è riuscita a non farsi sposare? che puttana, dice, e cerca la chiave di casa in tasca, lacrimando con una smorfia di disprezzo.
la cognizione del colore
giugno 19, 2017ritratti al vetriolo
giugno 13, 2017“Un autentico gatto da cortile, sempre dietro a una fica, ignorante come un carabiniere anche se compra quadri antichi e libri rari” (Bianciardi di Tognazzi)
Figure di riferimento
giugno 12, 2017“L’impegno sociale, che lui riteneva disonorante” (Brassaï parla di Breton, in Conversazioni con Picasso, edito da Allemandi)
il calco di un’assenza
giugno 10, 2017A me piacciono le delocazioni di Claudio Parmiggiani, che ricordano gli aloni lasciati dai quadri tolti dalle pareti dopo un trasloco; Lost in la Mancha, il backstage di un film inesistente (ma pare che Terry Gilliam lo stia finendo dopo diciassette anni); la Prefazione alle mie opere future del medico-scrittore Giovanni Rajberti, fors’anche perché a Monza io abitavo nella via a lui intitolata; e l’Azione Parallela de L’Uomo senza qualità di Musil; le Confessioni di un ottuagenario che non diventerà mai, dato che Ippolito Nievo morirà molto prima; e il libro di George Steiner intitolato I libri che non ho scritto; poi il verso di e.e. cummings “My life resembles something that has not occurred“, e gli artisti come Leonardo da Vinci, quelli più interessati ai progetti che alla loro realizzazione.
il terrore delle fiamme
giugno 9, 2017Le edizioni Via del Vento sono una piccola casa editrice di Pistoia. C’era un tempo in cui mi mandavano spesso i loro libretti, volumi di piccolo formato e con poche pagine ma con un testo mai banale. Credo di averne ricevuti parecchi negli anni, e di conservarne almeno una ventina. Mi arrivavano in omaggio, con un foglietto all’interno che diceva semplicemente: “con preghiera di segnalazione”.
Mi piaceva il loro modo timido di invitarti a parlarne sui giornali. Allora scrivevo su un quotidiano, forse Liberazione, ma non gli proposi mai nulla perché quasi sicuramente me l’avrebbero rifiutato. Con le case editrici minuscole che non hanno una vera distribuzione nelle librerie spesso i giornali fanno così. I libri recensiti devono poter essere comprati subito, non ordinati, anche se oggi, con tanta gente che compra su Amazon, forse questo discorso non ha più molto senso.
Ad ogni modo, uno di questi libretti delle edizioni Via del Vento lo apprezzai particolarmente. Si intitolava Le onde, ed era un inedito di Céline, composto da un racconto scritto a bordo di una nave che lo riportava in Francia nel 1917, e da due lettere indirizzate all’amica di gioventù Simone Saintu, scritte quando l’autore viveva e lavorava in Africa in qualità di amministratore di una piantagione di cacao in Camerun.
In una di queste Céline racconta all’amica di un giochino fatto dagli indigeni che gli ha “fatto una profonda impressione”. In pratica dice che “si fa un cerchio con delle liane, del diametro di 50 centimetri, si poggia il cerchio a terra e si mette al centro del cerchio uno scorpione – si dà fuoco alle liane, lo scorpione si ritrova allora accerchiato, circoscritto dal fuoco, cerca immediatamente di uscire ma invano – gira e rigira, va e viene ma non può uscire allora s’immobilizza all’interno del cerchio, e pungendosi a lungo sul corsetto, si avvelena e muore quasi istantaneamente”.
Il suicidio di un animale fa sempre impressione, è quasi inconcepibile, si pensa che nulla possa vincere il suo attaccamento alla vita, il suo istinto di sopravvivenza. Eppure il mio pensiero leggendo questo brano va immediatamente ai jumpers delle torri gemelle di New York, quelli che la mattina dell’11 settembre preferirono gettarsi nel vuoto al morire bruciati; e in subordine va a una riflessione di David Foster Wallace, che si trova a pag. 927 di Infinite Jest (nell’edizione Fandango), in cui si fa un parallelo coi suicidi in generale. Parole, quelle dell’americano, che acquistano un peso e un senso diverso se lette oggi, alla luce del suo suicidio, che per la sorella fu causato da “un cancro dell’anima”, e che sono anche un invito a interrogarsi sul fuoco del talento e della creazione, con le fiamme che lo alimentano e quelle che lo minacciano:
“La persona che ha una c.d. depressione psicotica e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette per sfiducia o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme.”
nutrirsi degli altri
giugno 8, 2017“Niente di più originale, niente di più se stessi che nutrirsi degli altri. Ma bisogna digerirli. Il leone è agnello metabolizzato.”
(Paul Valéry)
statistiche
giugno 7, 2017Le statistiche, “queste fredde megere dei nostri tempi” (così le chiamava Manganelli), sono come i lampioni per un ubriaco: servono più come sostegno che per fare luce, e infatti ci si appoggia a loro soprattutto per trovare conforto e assoluzione alle proprie debolezze. Per esempio citando la frequenza dello stesso reato commesso per scagionarsi, o pretendendo di desumere il valore di un prodotto artistico dal suo successo (l’audience per una serie, l’affluenza a una mostra, il botteghino per un film). Il messaggio in entrambi i casi è simile: non è grave dato che lo fanno in tanti (evadere le tasse, saltare le code, parcheggiare in doppia fila, non fare la differenziata), e non è brutto dato che lo leggono (vedono, applaudono) in tanti. La qual cosa conferma che morale ed estetica vanno sempre a braccetto, tanto nei giudizi (bello come un angelo, brutto come il peccato) quanto nei pregiudizi.