La chiamano nebbia, se la coccolano, te la mostrano, se ne gloriano come di un prodotto locale. E prodotto locale è. Solo, non è nebbia. No, la nebbia è semmai nelle campagne, viene su dalle rogge fumiganti che vanno ad allagare le marcite, sì da consentire anche dieci tagli di fieno l’anno, e infatti ha odore di stalla, questa nebbia che trovi fuori di città. Ma dentro non è nebbia. È semmai una fumigazione rabbiosa, una flatulenza di uomini, di motori, di camini, è sudore, è puzzo di piedi, polverone sollevato dal taccheggiare delle segretarie, delle puttane, dei rappresentanti, dei grafici, del P.R.M., delle stenodattilo, è fiato di denti guasti, di stomachi ulcerati, di budella intasate, di sfinteri stitici, è fetore di ascelle deodorate, di sorche sfitte, di bischeri disoccupati.
(Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962)
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