Ho fatto la risonanza magnetica. Era la mia prima volta. Sapevo com’era perché l’avevo vista in un film di Woody Allen, forse quello in cui c’è la celebre battuta che dice: “Le parole più belle non sono Ti amo, ma è benigno!” Mi ha fatto un po’ impressione quel cunicolo stretto, ed è durato quasi un’ora, così ho pensato a mia madre, a tutte le analisi che fece da sola, lontana, senza che nessuno l’accompagnasse. Ricordo che l’unica preoccupazione di noi figli a Milano, San Paolo e Roma era che non andasse in ospedale coi mezzi pubblici, ma prendesse un taxi, come se il problema fosse solo la comodità del tragitto casa-ospedale. Una signora di ottanta e passa anni da sola in quel budello orrendo e rumoroso… Queste esperienze terribili, di grande solitudine e avvilimento, a una certa età non si possono fare senza il sostegno di una persona cara, ti minano la voglia di vivere. Poi è tutto così macabro, sembra il tunnel di ricordi che riassume un’esistenza poco prima di andarsene, una specie di anticamera della morte, come stare in una bara da vivo.
Archive for giugno 2018
l’anticamera della morte
giugno 30, 2018Zazie e il biglietto del metro
giugno 29, 2018Io per certe cose somiglio un po’ a Raymond Queneau. Per esempio nel fatto che non ci azzecco quasi mai alla prima impressione. La sua più grossa cantonata la prese con Janine Kahn. La vide a una riunione di surrealisti e chiese a un suo amico: “chi è quella puttanella?”. Probabilmente quella sera Raymond notò solo la sua bellezza e pensò che fosse una tipa da una botta e via, solo l’avvenente cognata di Breton prima che questi diventasse il suo nemico pubblico, così cercò di rimorchiarla con quello scopo, ma poi finì per sposarsela, ebbero un figlio e restarono tutta la vita assieme. Quanto aveva contato Janine per lui lo si capì più tardi, dopo la morte di Raymond, quando aprirono la cassaforte di casa sua e trovarono il biglietto della metropolitana col timbro del giorno in cui uscirono per la prima volta, il 6 maggio 1927. L’aveva conservato gelosamente per tutti quegli anni come un feticcio prezioso. Perché magari non se ne rese conto subito, con la prima occhiata, che lei era quella giusta, ma alla fine della prima sera insieme sì che lo capì, l’autore di Zazie nel metro.
chiarimenti su un post
giugno 28, 2018Qualche precisazione riguardo al post su Chichita Calvino, da alcuni considerato irriguardoso tenuto conto che era appena deceduta e che io l’ho usata come pretesto per parlare di Elsa De Giorgi, la sua “rivale”. Il mio post non era dedicato a Chichita, anche perché chi voleva leggere un coccodrillo sulla vedova di Calvino l’altro giorno ne poteva trovare a bizzeffe dappertutto, in tv, in rete o sui giornali (qui uno molto bello). Con quell’accostamento volevo solo mostrare come una strenua volontà di damnatio memoriae avesse infine sortito l’effetto opposto, generando un menage a trois che non c’era mai stato in vita. Ma il primato di Chichita non si discute, lei era la first lady. Calvino sposò lei, con lei fece una figlia, lei era la vedova e l’erede di tutti i diritti, compresi quelli sulle lettere che lui, prima di conoscere Chichita, spedì a Elsa De Giorgi (perché ricordiamo che i due rapporti non si sovrapposero mai). Il suo diritto di veto non si esaurì con la mancata pubblicazione dell’epistolario, ma si esercitò anche ponendo il vincolo su metà delle lettere che oggi non si possono neppure consultare al Fondo Manoscritti di Pavia dove sono custodite (non diversamente dalla sua gestione dell’archivio calviniano ufficiale, tuttora precluso agli studiosi). Nell’aspra contesa legale fra le due donne di Calvino non nascondo che trovai di cattivo gusto certe esternazioni di Chichita, supportate anche da un bullistico articolo di Citati che ironizzava sulle false contesse che circuirono il grande scrittore sentimentalmente immaturo. Mi riferisco alle insinuazioni sullo scarso valore letterario dell’epistolario dettato solo “dalla fisiologia” della coppia (e spero che non ci sia bisogno di spiegare); o quando disse che era scritto con uno stile senza valore per adeguarsi allo stile di lei, evidentemente terra terra. Erano battute gratuitamente offensive e false, non degne della vestale di un autore di culto. La De Giorgi non era una bellezza vuota come una conchiglia, ma oltre che attrice fu scrittrice (conobbe Calvino mentre pubblicava con Einaudi, non prima) e amica intima di molti grandi intellettuali che la stimavano. Il fittissimo carteggio dimostra non solo che lui ne era innamorato, ma che con lei Calvino parlava e discuteva di tutto, politica, arte, cultura, senza cedimenti o “abbassamenti” di sorta (si vedano gli stralci che uscirono su Epoca e sul Corriere). E poi basta il giudizio entusiastico di Maria Corti per farci rimpiangere la mancata pubblicazione di quelle lettere. Se non se ne intendeva lei.
compleanni mancati
giugno 27, 2018“What I remember the most, was his blue eyes, their intensity. As well as his smile, a very gentle and human smile. I miss him tremendously. He’s part of my life now.”
Juliette Binoche che ricorda il regista del mio film preferito, Film rosso, nel giorno in cui avrebbe compiuto 77 anni.
il barista
giugno 26, 2018
In Sfida infernale (in originale My Darling Clementine), il celebre western di John Ford del ’46, c’è un dialogo memorabile fra Wyatt Earp (interpretato da Henry Fonda) e Mac, il barista del saloon. Mi è tornato in mente leggendo la notizia dello sciopero dei baristi dei casino americani, che pare siano addirittura 50.000, per il timore di essere sostituiti da una specie di robot-bracci meccanici prodotti in Italia. Beh, questo dialogo fa capire che niente potrà sostituire la confidenza e l’intimità che si può instaurare fra un barista e un bevitore, quasi da confessore o da analista, profonda a tal punto da potersi ribaltare, da suscitare una curiosità in entrambi i sensi. Curiosità però spesso destinata a non essere soddisfatta, data la natura unicamente ricettiva, da ascoltatore, del barista.
La jacaranda di palazzo Butera
giugno 25, 2018Questa storia me l’ha fatta conoscere un amico di Cremona, Beppe Anselmi, un amico che non vedo da troppo tempo. Riguarda Palazzo Butera, uno dei gioielli architettonici di Palermo. L’edificio risale al XVIII sec. ed è stato abbandonato per tanti anni. Quando l’ex broker e mecenate milanese Massimo Valsecchi ha trovato proprio in Palazzo Butera la cornice ideale per ospitare la sua strepitosa collezione di arte contemporanea, sono cominciati i restauri dello storico edificio, e a quel punto si è scoperto che le radici di una rigogliosa jacaranda che colorava la facciata avevano preso dimora dentro il palazzo, occupando un antico canale di acque chiare e nutrendosi delle perdite delle vecchie tubature arrugginite.
Si è quindi deciso di lasciarle vivere la sua vita, mostrando a tutti la sua tenacia e inventiva con una lunga teca di cristallo che ne segue il corso tortuoso fra quelle auguste mura. D’altronde, ormai quella è casa sua.
strane associazioni
giugno 23, 2018
oggi sposi
giugno 23, 2018Per capire il tipo di spirito che anima il lato spagnolo della mia famiglia, basta ricordare che quando mio cugino si sposò, in età già avanzata (48 anni), suo padre, appena finita la cerimonia, gli si avvicinò e gli disse a un orecchio: “Felicidades hijo, ahora sabrás qué quiere decir follar sin ganas” (Felicitazioni figliolo, ora saprai cosa vuol dire scopare senza averne voglia).
Piove
giugno 21, 2018I miei giorni, come ombrelli dimenticati.