Eccolo qua, uno dei cortili più segreti, anonimi e inaccessibili di Roma. Ci sono passato davanti tante di quelle volte sperando di trovarlo aperto; un giorno ho pure citofonato a un inquilino dicendo che ero un giornalista e chiedendogli il permesso di entrare ma niente, non c’è stato verso, mi ha lasciato fuori. Ieri però sono stato fortunato. Ho incontrato una ragazza che ci lavorava, il mio racconto l’ha impietosita e mi ha concesso di starci un po’ e scattare qualche foto. Siamo in centro, a Campo Marzio, precisamente in vicolo del Divino amore, la strada più bella della capitale secondo Cristina Campo. Al civico 19 non c’è alcuna targa che lo segnali, sembra per l’opposizione del proprietario dello stabile, ma si sa per certo che ci abitò Caravaggio. Di più, questa, per quanto ci è dato di sapere, è l’unica casa esistente in cui lui visse da solo, cioè non ospite di altri, fossero i suoi mecenati nobili o cardinali oppure amici e colleghi. Non ci restò a lungo, poco più di un anno, dai primi di maggio 1604 al 29 luglio 1605, quando scappò a Genova per paura di finire in galera dopo aver ferito il notaio Mariano Pasqualone ed essere stato denunciato. Fu allora che la padrona di casa, Prudenzia Bruni, chiese e ottenne il sequestro di tutti i suoi beni per morosità. Pare che non la pagasse da circa sei mesi, e in più la Bruni lo citò per danni avendo lui sfondato il soffitto per realizzare una finestra che facesse entrare luce nel suo studio. L’appartamento infatti era sia casa che bottega, qui Caravaggio visse e dipinse in compagnia di Francesco Boneri detto Cecco, il modello di tanti suoi dipinti, nonché garzone e compagno di avventure. Dal contratto di affitto sappiamo che l’abitazione era a due piani e disponeva di un portichetto che affacciava su un cortile dotato di pozzo e di un piccolo orto (salam cum duabus cameris ut diceret al piano cum suffittis et eorum stantis superioribus, ac cum cantina suptus dictam domum, cortile, et horto in ea existentes nec non cum usu et facultate abuendi aquam a puteo in ipso presente dictae domus existens). Molti elementi dell’esterno della casa menzionati in quel contratto sono ancora oggi presenti o intuibili. Per esempio la cornice in travertino posta dove un tempo sorgeva la vera del pozzo (il puteo) e oggi invece c’è un lampione. Poi le quattro caditoie per convogliare l’acqua piovana nella cisterna sotterranea, perfettamente conservate e funzionanti, segnalate dalle quattro diagonali che dal lampione conducono agli angoli principali del cortile. E pure le leggere pendenze della pavimentazione in selci, inclinata verso le quattro caditoie e con il cerchio centrale a un livello leggermente rialzato. Sul fondo del cortile rettangolare inoltre, separato da un piccolo muretto e dalla figura inquietante del mio amico Paolo, c’è uno spazio con piante e alberelli che probabilmente è quanto resta dell’orticello in uso al Merisi.
Infine, guardando verso l’accesso che dal vestibolo immette nel cortile, emerge la traccia dell’antico portichetto su due ordini (al piano terra e al primo piano), ampiamente rifatto e ampliato, che corrisponde al discoperto domo sotto il quale fu stipulato il contratto di affitto tra Caravaggio e la signora Bruni in quel lontano giorno di primavera. Questo portichetto, originariamente della profondità di circa un metro e mezzo, corre lungo tutto il lato interno della casa (in parallelo al vicolo) e, con ogni probabilità, proseguiva formando una L lungo il lato sinistro del cortile, forse in corrispondenza della casa della proprietaria, che era adiacente a quella di Caravaggio. Il portico, impiantato su quattro robusti pilastri quadrati, regge un secondo ordine di colonne ugualmente quadrate, ma più leggere, che costituiscono il loggiato delle stanze al primo piano, protetto da ringhiere.
Giustapposizioni di luoghi e di vite diverse, una delle cose che più amo.