INTERVIEWER:
Some people say they can’t understand your writing, even after they read it two or three times. What approach would you suggest for them?
FAULKNER:
Read it four times.
INTERVIEWER:
Some people say they can’t understand your writing, even after they read it two or three times. What approach would you suggest for them?
FAULKNER:
Read it four times.
“Piracy is the most successful form of distribution,” says Werner Herzog
L’ultima abitazione di Vivian Maier si trovava a Chicago, al 7755 di North Sheridan road. Quel monolocale al primo piano per cui pagava 695 dollari al mese di affitto gli fu trovato dai fratelli Gensberg, che erano molto affezionati alla loro ex tata tanto da assisterla nei suoi ultimi anni e scrivere il necrologio che apparve sui giornali quando morì. In quella casa Vivian visse dal 2004 al novembre 2008, quando ebbe un incidente al Rogers Beach Park, un parchetto in riva al lago dove si recava tutti i giorni a leggere e guardare l’acqua seduta su una panchina, una panchina che meriterebbe di figurare in
quel bellissimo catalogo di panchine famose steso tempo fa da Beppe Sebaste. Un suo vicino di casa e uno dei pochissimi cui Vivian rivolgeva la parola in quei giorni, Patrick Kennedy, racconta che nel quartiere molti la credevano una senzatetto, perché vestiva sempre allo stesso modo e perché spesso la vedevano rovistare nei cassonetti. In realtà nei cassonetti cercava giornali da leggere, ma non per indigenza, dato che alla sua morte il suo conto corrente vantava un attivo di più di 20.000 euro. Pare che facesse sempre lo stesso tragitto a piedi da casa al parco, incamminandosi verso nord e svoltando in Eastlake Terrace fino a raggiungere l’entrata del Rogers Beach Park. Negli ultimi mesi, dal novembre 2008, quando fu ricoverata in ospedale a Evanston per aver sbattuto la testa in seguito a una caduta all’entrata del parco, al 21 aprile 2009, quando morì, cominciava a scoppiare “il caso Maier”, con la pubblicazione su Flickr da parte di John Maloof delle sue meravigliose foto di strada acquistate a un’asta per pochi dollari, ma lei di tutto questo non ne seppe mai niente.
Lettera di Artemisia Gentileschi a Francesco Maria Maringhi, Roma, 20 marzo 1620
Nel 1973, nell’attico di questo palazzo di fronte all’Hudson river (340 Riverside drive), abitava Susan Sontag mentre scriveva On photography. Qualche piano più sotto, ventun’anni prima, ci viveva e lavorava Vivian Maier come tata.
“Ho studiato i buchi neri tutta la vita, ma non credevo sarei arrivato a vederne una vera immagine. Ricordo il mio libro di testo universitario, che nel capitolo sui buchi neri diceva che tutto sommato non ci si credeva che i buchi neri esistessero davvero… Ricordo il direttore del centro di ricerca dove sono andato a lavorare nel 2000. Durante la nostra prima conversazione anche lui era molto scettico che i buchi neri fossero reali. E invece… eccolo lì. (…) Un piccolo dischetto sì, ma è a 55 milioni di anni luce di distanza: la luce che ci porta l’immagine che oggi guardiamo tutti noi incantati è partita da là molto prima che comparisse sulla Terra la nostra inquieta e fragile specie. E dentro questo gigante del cielo cosa succede? Cosa c’è? Ancora non lo sappiamo, perché lì dentro Einstein non basta. Stiamo studiando. Lo scopriremo”.
Carlo Rovelli, Corriere della Sera, 11 aprile 2019
come può essere perversa l’arte sacra, dalla guaina in lattex dei cherubini al seno rifatto della madonna.
“When film is not a document, it’s a dream. That is why Tarkovsky is the greatest of them all. He moves with such naturalness in the room of dreams. He doesn’t explain. What should he explain anyhow?” Ingmar Bergman su Andrei Tarkovsky, nato in questo giorno del 1932.