Coerentemente con l’anniversario – il cinquecentenario della morte – la mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale parte dalla fine. Il centro focale è la sua morte, i solenni funerali di Stato descritti con ammirazione dal Vasari a decenni di distanza, e tutta la parabola umana e artistica del genio urbinate prende avvio dal suo termine, come una formidabile carrellata a ritroso, un lungo flashback che giunge infine agli esordi, all’alunnato presso il padre Giovanni rappresentato dal disegno di un volto e di una mano.
Insomma, se non vi disturba lo spoiler e l’obbligo d’indossare la mascherina e di sostare cinque minuti per ciascuna delle sedici sale (sì, in totale fa quasi un’ora e mezza), non perdetevi questa mostra. Dietro l’apparenza innocua e reboante della grande monografia e dei “prestiti eccezionali” si cela, grazie a una semplice inversione cronologica, un’acuta riflessione sul genio artistico. Il genio che tutti celebriamo soprattutto quando è morto e ci manca, perché la sua funzione precipua è proprio il mancare, al pari del coniuge ricco, che non è mai così benvoluto come quando se ne può denunciare la scomparsa.