Archive for the ‘obituario’ Category

La morte di Marvin Hagler

marzo 14, 2021

La mia epica giovanile è stata soprattutto sportiva. I duelli tra Borg e McEnroe, il mundial dell’82, la valanga azzurra, l’NBA dei Lakers, Pietro Mennea, la boxe americana dei Caesar Palace… Ricordo che mio padre mi lasciò rimanere sveglio, a 11 anni, la notte di fine ottobre a Kinshasa in cui perse il nostro paladino, George Foreman, quello serio e taciturno che aveva noleggiato tutto un aereo per portarsi dietro il cane.

Ma il mio idolo pugilistico fu Marvin Hagler, the Marvelous, il grande atleta che incontrato in adolescenza fa da bussola al tuo caos interiore, il campione del mondo dei pesi medi, il migliore di noi. Fin da allora io trovavo sospetta la passione per l’eccezionale, come se fosse il crisma della mediocrità. Il culto esclusivo per i pesi massimi, come quelli che sapevano tutto sugli squali e ignoravano cosa mangiasse un passerotto (da cui il mio amore per Giacomo Leopardi). Hagler era un esempio di forza, serietà e correttezza, l’incarnazione più autentica della noble art. In mezzo a tanti abili sbruffoni e provocatori, come Ray Sugar Leonard e Muhammad Alì, Hagler si affidava solo al talento, non cercava di innervosire l’avversario, d’irretire le folle, di influenzare i giudici per assicurarsi il loro voto, e infatti si ritirò dopo il match con Leonard che perse in modo sospetto per split decision. Mi piacevano anche i suoi timidi coach italoamericani, i fratelli Petronelli, più tecnici che motivatori e personaggi. Vidi tutte le sue battaglie, da Vito Antuofermo a Roberto Duran manos de piedra a Tommy Hearns, quella che passò alla storia come “the War”, perché lui batté dei fenomeni spaventosi. Ma l’incontro che rimase scolpito nella mia memoria fu quello con John Mugabi detto la bestia, un picchiatore ugandese dal soprannome eloquente che dopo Hagler scomparve dalla circolazione tante furono le botte che prese. Fu uno scontro mitico, aperto, onesto, senza trucchi e mossette, semplicemente due uomini che se le diedero di santa ragione senza indietreggiare mai, spesso rinunciando perfino a tenere alta la guardia, per vedere chi era il più forte. Ricordo ancora il sesto round, il commento concitato di Rino Tommasi che in vita sua aveva visto di tutto ma uno scontro di tale violenza mai, come disse lui stesso in diretta con la voce rotta dall’emozione. La castagna risolutiva di Hagler arrivò all’undicesimo round, dopo una lunga e paziente opera di incasso e demolizione di quella roccia africana che sembrava inscalfibile.

Stamattina mi è dispiaciuto molto scoprire che the Marvelous è morto a 66 anni. Certo, non è lo stesso dispiacere che si prova per la morte di un amico o di un parente, perché in queste occasioni ci si commuove anche e soprattutto per noi stessi, per i nostri sogni di gloria, per la nostra gioventù che non tornerà e per un senso di strana e profonda gratitudine nei confronti di qualcuno che ci conosceva senza conoscerci e che abbiamo conosciuto senza conoscerlo, ma per me, oggi, è come se fosse morto Ettore.

È morta la Maga

luglio 28, 2020

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Norah

dicembre 19, 2019

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L’altro ieri si è aperta una mostra su Norah, la sorella pittrice di Borges, al Museo Nacional de Bellas Artes di Buenos Aires

condannati a morte

dicembre 9, 2019

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Quando ero bambino e iniziavano a cadermi i denti da latte, pur di non farli staccare mangiavo pochissimo, quasi non parlavo e lasciavo che il dente rimanesse attaccato a penzolare sempre di più, fino a quando non si reggeva che a stento. Non m’importava nulla della promessa dei soldi del topolino. Avevo paura del dolore, ma poi il dente cominciava lo stesso a farmi male, e io mi ostinavo a tenerlo in disparte, a non utilizzarlo sperando che tutto rimanesse uguale, indefinitamente.
Ecco, sarà un retaggio della mia infanzia la difficoltà, che ho ancora oggi, a lasciar andare le cose, i ricordi, le persone, anche quando so che non funzionano, che mi fanno soffrire, anche quando mi rendo conto che non si può più fare altrimenti. È che mi porto addosso la sensazione che tutto stia sempre, continuamente, per finire, che ogni cosa o persona viva una specie di conto alla rovescia, come una corsa verso il nulla, ma il nulla dell’origine. Ho paura della fine delle cose perché ogni volta che comincio una cosa io la comincio per sempre, come fosse una cosa che durerà per tutta la vita, che mi accompagnerà come un’ombra, e invece poi io cambio, cambio idea, mi stufo, guardo altrove, mentre le cose restano lì, immobili, fredde e indifferenti, e prendono il sapore amaro dell’abbandono.

Una volta lessi che un elefante che vive 60 anni e una farfalla che campa un giorno hanno a disposizione, nell’arco della loro vita, lo stesso numero di battiti cardiaci, circa tre miliardi. Forse la data di scadenza di ognuno è iscritta nei propri geni, fin dalla loro comparsa. Basta fare attenzione. La prima volta che vidi un parto in tv mi colpì l’immagine del neonato che faticava a uscire con le spalle, che è la parte più larga del suo corpo, e notavo che lo sforzo degli ostetrici consisteva soprattutto nel favorire la dilatazione della madre per sbloccarlo da quell’incastro, quando si arresta con la testolina rivolta verso il basso, nella tipica posizione del ghigliottinato, del condannato a morte.

E pluribus unum

novembre 9, 2019

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La casa di Rothko

ottobre 12, 2019

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L’ex deposito di carrozze al 157 East 69th Street, l’edificio che Marc Rothko scelse come casa-studio perché amava la luce naturale che calava dall’alto (come Caravaggio), all’interno del quale si tolse la vita il 25 febbraio 1970.

In memoria di Laureen Bird

giugno 28, 2019

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Un suicida non se ne va mai da solo. Questa sentenza risulta particolarmente evidente conoscendo la storia familiare dell’attrice e fotografa Laureen Bird, che scelse di andarsene una notte di giugno di quarant’anni fa. L’avevo conosciuta poco prima, in una brevissima comparsata in Annie Hall di Woody Allen, un film pieno di cameo di saranno famosi come Christopher Walken, Sigourney Weaver, Shelley Duvall e Jeff Goldblum, dove recitava la parte della fidanzata di un celebre cantante californiano interpretato da Paul Simon. Nella realtà Laureen stava con Art Garfunkel, e proprio nel suo penthouse sulla 79th East si tolse la vita con un’overdose di valium. Non aveva ancora 26 anni. Come sua madre, che morì nello stesso modo e alla stessa età.  

il cimitero degli animali di villa Piccolo a Capo d’Orlando

Maggio 6, 2019

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Ecce Gerstl

novembre 4, 2018

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Centodieci anni fa, oggi, questa persona decideva di farla finita. Si chiamava Richard Gerstl, viveva a Vienna ed era un pittore giovanissimo con tutta la vita davanti. A quel tempo e a quelle latitudini il suicidio non era infrequente, soprattutto fra gli artisti, gli intellettuali e le personalità eminenti, non a caso in tedesco suicidio si dice freitod, cioè libera morte, come se fosse la più alta e nobile espressione del libero arbitrio, appannaggio degli spiriti eletti. Vi ricorsero, per citare solo i casi più illustri, Otto Weininger, Georg Trakl, Max Steiner, tre dei quattro fratelli Wittgenstein, oltre a Maria Vetsera e l’arciduca Rodolfo. Gerstl aveva un grande talento ma era ancora poco conosciuto nell’ambiente. La sua arte era insieme vecchia e modernissima, quella di un fauves che s’ispirava a Vincent Van Gogh e anticipava certi stilemi dell’Espressionismo tedesco, in opposizione alla raffinatezza trasognata dei secessionisti come Gustav Klimt, che nell’augusta Cacania andavano per la maggiore e dettavano legge in fatto di gusto. Basta guardare il lampo dell’occhio azzurro in questo autoritratto disperato e beffardo, eseguito poco prima della fine, per capire lo scarto, anzi l’abisso che li separava, ma non fu per questo che si uccise. Più banalmente, Gerstl s’ammazzò per un amore non corrisposto. Lei era Mathilde Schonberg, la moglie di un suo caro amico oltre che vicino di casa, passato alla storia della musica come il padre della dodecafonia. Agli Schonberg Richard stava impartendo delle lezioni di disegno quando tra lui e Mathilde divampò una passione bruciante. Cominciarono allora una relazione clandestina che presto fu scoperta dal compositore nel peggiore dei modi, spingendola così ad abbandonare il tetto coniugale, anche se pochi mesi dopo lei si pentì e ritornò sui propri passi. Gerstl la prese malissimo, e dopo ripetute minacce e suppliche di ripensarci si arrese all’evidenza e si convinse che non avesse più senso andare avanti senza di lei. Così, la notte del 4 novembre scelse d’impiccarsi davanti a un grande specchio nel suo studio in Lichtensteinstrasse 20, non prima però di aver cancellato ogni traccia della sua arte presente in quelle stanze. B1900802T9967103

Forse anche per questa ragione il riconoscimento arrivò tardi, grazie alla determinazione e all’insistenza del fratello Alois che, persuaso del genio di Richard, nei primi anni 30 convinse il mitico gallerista viennese Otto (Nierestein) Kallir ad organizzare nella Neue Gallery la sua prima mostra postuma che lo impose all’attenzione della critica. Infine, con l’esposizione alla XXVIII Biennale di Venezia del ’56, giunse la consacrazione internazionale come uno dei protagonisti dell’arte del suo tempo, tanto che oggi i suoi autoritratti sono considerati tra gli ecce homo più potenti e originali del Novecento.

Nessun incidente

ottobre 16, 2018

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