Sono un uomo di mondo

noio

Parto per Cuneo. La manifestazione è Scrittori in città, un festival letterario giunto alla nona edizione. Il primo dei tre incontri cui sono stato invitato è un dibattito sulla critica. Vi partecipano Andrea Cortellessa, Stefano Salis e il sottoscritto (come a dire: Churchill, Roosevelt e Pecoraro Scanio). Piero Sorrentino modera il tutto. La sala è piena, l’età media è 70 anni. Dopo una breve introduzione di Piero (che avevo supplicato in precedenza di non interpellarmi subito), in cui si ribadisce lo stato comatoso della critica sulla scorta delle riflessioni di Lavagetto, Cortellessa parte con una dissertazione dottissima volta a difendere il mainstream, a suo dire trascurato dai critici dei media più diffusi a favore della letteratura di genere. Gianni Biondillo in disparte medita la vendetta che consumerà di lì a poco. Salis obietta che compito dei curatori dei supplementi letterari dei quotidiani come il suo (Il Sole 24 ore) è innanzitutto parlare dei libri più venduti, quelli che interessano maggiormente il pubblico. A questo proposito cita il Codice da Vinci, e a Cortellessa scoppia un’eruzione cutanea sul viso.

E’ il mio turno. Considerate le esigenze dei canuti vegliardi che seguono il dibattito, provo a difendere la categoria con una ruffiana metafora farmacologica. Salis aveva tacciato i lit-blog di “chiacchiericcio insulso”, e io replico parafrasando l’effetto alka-seltzer di Enzensberger, che declino nella variante dell’ermeneutica diffusa. Una vecchina fresca reduce di una colonscopia mi sorride complice. Sento che il pubblico, pur sospettando che il lit-blog sia un nuovo modello di cellulare e l’ermeneutica un piatto tipico abruzzese, ora è dalla mia parte. Aggiungo che sì, forse a volte la discussione sui libri in rete sembra l’hard discount della critica, ma esistono pure delle piccole bancarelle del web in cui le recensioni si fanno ancora come una volta, a mano e senza conservanti o additivi. L’immagine del Mulino bianco critico fa presa, una coppia di anziani armati di taccuino e penna medita di adottarmi. Quando termino il mio intervento, ammettendo di essermi perso nella digressione e non ricordando più il punto da cui ero partito, un nonnetto con l’alzheimer decide di includermi nel testamento, peccato che se lo dimentichi subito dopo. Finito l’incontro si avvicina un’ottuagenaria per farmi i complimenti. Mi dice: “bravo, lei sì che parla chiaro, mica come quello lì”, indicando Cortellessa. In pratica, è come andare a una mostra in cui sono esposti un paesaggio acquerellato da pizzeria e un taglio di Fontana, e poi applaudire la bravura dell’autore del primo di contro al vandalismo del secondo.

Nell’incontro successivo qualcosa mi dice che sarà un disastro. Mi avvio alla sala con la netta sensazione che stia per compiersi un suicidio preterintenzionale. Confido nell’ora tarda e nel fatto che l’entrata sia a pagamento, ma dimentico che gli autori non pagano. E difatti il pubblico è selezionatissimo: solo addetti ai lavori; anzi, peggio ancora: tutti i nomi che stimo nell’ambiente. L’ansia si gonfia come una flittena. Mi guardo intorno e valuto le possibili vie di fuga. Decido che al peggio fingerò uno svenimento, basterà trattenere il respiro fino a diventare cianotico. Arriva Giorgio Vasta, l’organizzatore, il responsabile del mio invito, colui al quale verrà sicuramente rinfacciata la scelta di avermi chiamato come moderatore.
Il tema dell’incontro è “maschile presente”, una riflessione sulle diverse rappresentazioni della figura maschile nella narrativa attuale. Forse hanno pensato a me in quanto maschio abituale e recidivo. Partecipano Leonardo Colombati, Veronica Raimo, Antonio Leotti e Francesco Pecoraro. Veronica non arriva, pare irreperibile. Io contavo su di lei, speravo che la sua avvenenza inquieta distogliesse l’attenzione dalle mie parole. Lo scelto pubblico rumoreggia, pretende che s’inizi lo stesso. Sono in apnea, mi appare la Madonna di Alias che mi offre l’estrema unzione a patto che mi converta subito. Ho un sussulto di orgoglio e rifiuto. Parto con un’introduzione insensata nella speranza che l’uditorio presuma che la stia prendendo larga, ma gli sguardi costernati che scorgo mi fanno capire che il trucco non ha funzionato. Cedo la parola a Colombati cercando un minimo appiglio che leghi il tema dell’incontro al suo ultimo romanzo, ma l’incipit del suo intervento conferma le mie più pessimistiche previsioni, affermando in sostanza che sulla questione non si sente di intervenire, perché sarebbe come chiedergli cosa ne pensa dell’essere castano. In quel momento entra Veronica. Provo con Pecoraro, che si avventura in una lunga disquisizione biologica su molluschi ed esseri unicellulari. Sembra una puntata di Superquark con Piero Angela.

In platea nel frattempo c’è chi gioca a briscola, chi manda messaggini e chi ride apertamente della mia inettitudine. Mi chedo se esiste una Convenzione di Ginevra per i moderatori improvvisati. Sono un vigile urbano seduto in mezzo a un incrocio ingorgato, con la gente che suona il clacson e si manda affanculo. Pecoraro è inarrestabile nel suo viaggio a ritroso verso il Big Bang. Tento di farlo parlare dei personaggi dei suoi racconti, della loro virilità rassegnata e fuori tempo, ma canno la professione di uno di questi e lui ricomincia col brodo primordiale. Ormai è ora di cena e propongo di continuare la discussione demenziale al ristorante. La proposta viene sadicamente cassata. Leotti è avvilito, Veronica prova a riprendere in mano le fila del discorso e suscita qualche intervento del pubblico. Io guardo ossessivamente l’orologio, ignorando il fatto che non c’è nessuno dopo di noi, per cui l’ingorgo potrebbe durare molto a lungo. Loredana Lipperini si impietosisce e innalza un cartello con scritto “Save Garufi”. Un tale dice una cosa che avevo letto in un libro di Francesco Piccolo e lo faccio notare, peccato che quel tale sia Francesco Piccolo. La gaffe perlomeno è liberatoria, nel senso che libera la sala e chiude l’incontro. Sprofondo in uno stato di catatonia ilare, con Loredana che cerca invano di ridestarmi.

Il terzo incontro è simmetrico e speculare al secondo. Si deve parlare di “femminile presente”. Il forfait di Laura Pugno, unica donna in mezzo a tre uomini (io, Giampaolo Simi e Giancarlo Pastore) a parlare di donne, mi evoca immagini apocalittiche, un’apocalisse tragicomica. Mi convinco che sono un incompreso, vagheggio l’incontro con lo spirito affine che saprà capirmi al volo, vedermi dentro per come sono veramente, quasi avessi da guadagnarci. Mi viene comunicato che Laura Pugno verrà sostituita da Michela Murgia, che non conosco. La nuvoletta del Fantozzi letterario ora è una depressione ciclonica che preannuncia la tempesta perfetta. Entro in sala e fortunatamente tra il pubblico non c’è nessuno che conosco. Michela si rivela un oratore formidabile. Il suo libro (Il mondo deve sapere, ISBN) è perfetto per il tema in questione. Racconta la sua esperienza in un call center in cui tutte le telefoniste erano donne giovani e i venditori solo uomini, perché così si sfruttavano gli sterotipi di genere (la donna che ti fissa un appuntamento al telefono con voce dolce e rassicurante e l’uomo in giacca e cravatta che ti entra in casa con fare molto professionale) a fini bassamente commerciali. Anche Gianpaolo Simi e Giancarlo Pastore illustrano bene le figure femminili protagoniste dei loro romanzi (Rosa elettrica, edito da Einaudi, e Regina, pubblicato da Bompiani). Il pubblico sembra gradire, ascolta interessato. Quando già intravedevo la luce in fondo al tunnel e pensavo di rinunciare ai propositi di farmi hare krishna o giapster una vecchina malefica, che in seguito ho saputo essere una nota disturbatrice di tutti gli incontri, si alza in piedi protestando perché esige un’analisi storica della condizione femminile a partire dalla sua generazione, ossia dal XIX sec. Ho un impulso sacrificale, voglio sbottonarmi la camicia e ostentare il petto glabro e slavato per dire “Prendete, questo è il mio corpo”, ma ci pensa Michela ad evitarmi il melodramma similcristologico. Il dibattito riprende il suo corso e un applauso finale sancisce che la mia quaresima è finita. Ora posso dirlo: sono un uomo di mondo, ho fatto tre volte il relatore a Cuneo.

8 Risposte to “Sono un uomo di mondo”

  1. antonio lillo Says:

    io un racconto così l’avrei finito con un punto esclamativo! però bravo, non fosse antro che sei sopravvissuto… incontri così io li odio dal più profondo del cuore (ma è solo perchè sono invidioso, a me a incontri così non mi ci invita mai nessuno :-P)

  2. franz krauspenhaar Says:

    bello bello. manca il pranzo-rissa con pecoraro e colombati. dai, prepara la nuova puntatona, dai!:-)

  3. Luca Tassinari Says:

    io ho fatto il militare a casale monferrato, altro che cuneo!

  4. Alessia Says:

    Se non lo sei già, ti prego sposami!!!

  5. sergiogarufi Says:

    ciao antonio. in realtà a me è piaciuta molto l’esperienza di cuneo. sembrava di vivere in una comune, tutti gli scrittori e i critici stavano assieme dalla mattina alla sera, si pranzava e si cenava allo stesso tavolo, ci si scambiavano opinioni su libri e autori… io l’ho messa un po’ tragicomica per evidenziare il mio senso di inadeguatezza, ma è stato bello.
    ciao franzone, in effetti l’episodio più gustoso è stato quell’accenno di rissa, ma meglio glissare.
    ciao luca, però tu 1 anno solo, non è la stessa cosa 🙂
    ciao alessia, purtroppo il mio cuore è già impegnato, sono innamorato della letteratura sebbene lei non mi si conceda, però la tua offerta è molto lusinghiera, quasi quasi la tradisco 🙂

  6. Alessia Says:

    Ah ah ah,

    …….”però la tua offerta è molto lusinghiera, quasi quasi la tradisco :-)”…

    In attesa di una sua risposta alla mia offerta, la saluto cordialmente,

    Alessia.

  7. emma Says:

    In qualità di Gola Profonda delle patrie lettere non puoi esimerti dal raccontare del pranzo-rissa con Pecoraro e Colombati. Eddai!:-)

  8. sergiogarufi Says:

    in sintesi: se le son dette di santa ragione, e ha vinto per ko colombati 🙂

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