dalla parte del torto

Ci vorrebbe Manganelli. Lo pensavo leggendo l’articolo di Francesco Piccolo sul supplemento letterario del “Corriere” a proposito dell’incapacità italiana di accettare la sconfitta. Allora ho chiesto il permesso al giornale di replicare, e la risposta è stata: “cosa non ti torna di quel pezzo?” Già, suona strano obiettare qualcosa a Piccolo. La verità è che ha ragione, in ciò che scrive tutto torna. Qualsiasi tema affronti il suo argomentare è pacato, equilibrato, saggio, ispirato al buon senso, sembra Napolitano quando auspica l’abbassamento dei toni. Leggendolo non si può non concordare, e ci si sente a posto con la coscienza, si sta dalla parte giusta. Per sostenere la tesi secondo cui noi italiani saremmo incapaci di perdere (e di vincere, esultando in modo sguaiato), Piccolo fa alcuni esempi. Uno sportivo: la gara degli 800 metri vinta dal keniano Rudisha alle olimpiadi. Piccolo ha rischiato di non vederla in diretta perché contemporaneamente c’era una semifinale di taekwondo con un italiano, e la tv stava dando priorità a quest’ultima dato che gli italiani sono “interessati solo al medagliere”. Non sono sicuro che le scelte del palinsesto olimpico interpretassero alla lettera la volontà degli italiani, e dubito che sia un vizio tipicamente nostro quello di esultare o recriminare in modo eccessivo. Guardando un’altra sfida epica delle olimpiadi, i 100 metri vinti da Bolt, ho avuto un’impressione completamente diversa. A Pechino Bolt era stato l’unico prima dello start a ostentare sicurezza esibendosi in smorfie e balletti, invece quest’anno a Londra tutti gli sprinter finalisti lo imitavano, provando a distinguersi con delle mosse particolari. Le figure che rimangono più impresse nella memoria hanno tutte a che fare con un modo di esultare originale, dal lanciatore del disco che si strappa la maglia come Hulk (e nel calcio da noi togliersela vale un’ammonizione), alla saltatrice in alto croata (Blanka Vlašić) che improvvisa balletti ammiccanti dopo aver superato l’asticella. Questo per dire che è il sistema a istigare atteggiamenti eccentrici, rendendoli appetibili per contratti pubblicitari. Ma è soprattutto l’inclinazione al piagnisteo, il nostro peggior vizio per Piccolo. E dato che il senso del suo ragionamento ricalca certe sentenze di If di Kipling, laddove invita a trattare la vittoria e la sconfitta come due impostori, mi son ricordato che a Wimbledon quel motto è inciso all’entrata come benvenuto. Lì ad esempio era McEnroe, non un italiano, chi dava spesso in escandescenze, ma il suo talento era così limpido che i tifosi americani gli accordavano senza sforzo una franchigia morale. In Open, l’autobiografia di Agassi, si dice che: “una vittoria non è così piacevole com’è dolorosa una sconfitta”. I media a quello puntano cercando le emozioni forti, ecco perché a Marco Bellocchio, dopo Venezia, i giornalisti chiedono con insistenza che si prova a restare a bocca asciutta. Il motto di de Coubertin è la foglia di fico della cattiva coscienza. Manganelli lo sapeva, tanto da sottolineare la volgarità e l’assurdità logica dell’equazione secondo cui chi vince (la guerra, le elezioni, il campionato, lo Strega) ha ragione, e da ricordarci innanzitutto che “vivere significa avere torto”. La maggioranza, per intenderci, tra Gesù e Barabba scelse Barabba. Ora, in tempi di antielitismo e aristofobia, all’intellettuale si chiede di darle voce, d’incarnare la vox populi, e i corsivi riflettono ciò che sentiresti al bar sotto casa, solo espresso e argomentato meglio; mentre anni fa gli interventi degli intellettuali provocavano, facevano discutere, non sembravano aver ragione perché ci davano ragione. Basta pensare alle posizioni di Pasolini sul referendum per l’aborto e sul tema delle manifestazioni studentesche, o a Manganelli, entrambi vere coscienze critiche del paese. Manganelli stava volentieri “dalla parte del torto”, come nel titolo del bel libro dell’altro Bellocchio, Piergiorgio. Il quotidiano “La Stampa” gli chiedeva di commentare la notizia dell’albergatore ligure che aveva cacciato un gruppo di spastici e lui faceva proprie le istanze dell’albergatore, fingeva di aderirvi, diceva “ci sono molti e fondati motivi per detestare gli spastici”. Noi oggi manco questa parola sapremmo pronunciare, figuriamoci adoperare un registro antifrastico così urtante ed efficace nel mostrarci il ribrezzo di quel modo di pensare.

(pubblicato su l’Unità, 20/9/2012)

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3 Risposte to “dalla parte del torto”

  1. Effe Says:

    Bene. Provo allora a utilizzare un breve brano di un’intervista a Bolaño letta altrove, sostituendo all’originale termine “unanimità”, l’espressione “aver ragione” ,o “stare dalla parte della ragione”, per vedere se il tutto funziona ugualmente fino alla conclusione.
    Secondo me, funziona:

    “Non mi piaceva l’aver ragione sacerdotale, clericale dei comunisti. Sono sempre stato di sinistra e non sarei certo passato alla destra solo perché non mi piacevano i chierici comunisti, così diventai trotzkista. Il problema è che anche dopo, quando mi ritrovai fra i trotzkisti, non mi piaceva l’aver ragione clericale dei trotzkisti e finii per diventare anarchico. Ero l’unico anarchico che conoscevo, grazie a Dio, perché in caso contrario avrei smesso di essere anarchico. Stare dalla parte della ragione mi fa incazzare. Quando vedo che tutti sono d’accordo su qualcosa, quando vedo che tutti lanciano in coro un anatema contro qualcosa, sento un non so che a fior di pelle che mi dà il rigetto. Probabilmente sono traumi infantili, non è una cosa di cui vado orgoglioso. “

  2. Cpd Says:

    Bello l’articolo di Sergio, e il libro da cui è tratto l’estratto di Bolano. Non lo so cosa direbbero Pasolini e Manganelli di questi tempi; erano infatti vere coscienze critiche di un paese che aveva ancora una coscienza. Ne parlavo ieri: c’era un amico che sosteneva che l’unica rivoluzione possibile, in questo paese marcio fino all’ultima cellula, è Grillo. Eravamo alla libreria Einaudi a Venezia, e non volevo spendere soldi; ma dopo l’affermazione dell’amico, non ho potuto non comprare il libro di Hitchens.

  3. gianni biondillo Says:

    Bel pezzo. Really.

    (inter nos: avevo il cell scassato. Ho chiamato Chiara ieri ma non m’ha risposto, diglielo)

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